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TUTTO SUI PRECARI.
Ricerca del Cdr di Rcs periodici
“Free lance, tra assenza
di diritti e desiderio
di autonomia. Il caso
della Rcs periodici
(Luglio-dicembre2006)’’.


Il lavoro non standard ha aumentato l’occupazione ma anche l’insicurezza. Esso rappresenta un paradossale elemento di rigidità economica perché tende ad abbassare le soglie della qualità del processo, vista l’assenza di motivazioni, di obiettivi condivisi, di processi di fidelizzazione e di valorizzazione. E’ il risultato di fondo di una ricerca compiuta dal Comitato di redazione di Rcs periodici (a cura di Cristina Morini) dal titolo: ‘’Free lance, tra assenza di diritti e desiderio di autonomia. Il caso della Rcs periodici (Luglo-dicembre2006)’’.


 La ricerca. La ricerca – spiega il Cdr nell’introduzione - si è svolta con la metodologia dell’indagine questionaria. Si sono ottenute 80 risposte non complete e 50 complete. Le statistiche, e le analisi conseguenti, sono state realizzate a partire da queste ultime. I collaboratori, all’interno della realtà della Rcs Periodici, arrivano a raggiungere un numero mobile di circa 600 unità (su 250 colleghi regolarmente assunti). Il questionario è stato indirizzato a 300 di loro, ovvero a chi aveva, al momento della raccolta dei dati, un rapporto di collaborazione strutturato da almeno un anno con una redazione. Da notare che 111 di questi risultano, da dati aziendali forniti ufficialmente, in qualche misura “contattualizzati” (co.co.co, partite Iva e diritto d’autore). Va specificato che in Rcs Periodici non si assiste, di norma, a un abuso di utilizzo improprio delle figure atipiche (presenza di cosiddetti “abusivi” all’interno delle redazioni, a lato dei colleghi assunti).


 La labilità del rapporto. L’ analisi del campione – spiega la ricerca - individua nella labilità del rapporto in sé l’elemento di debolezza più vistoso tra i tanti che definiscono negativamente la condizione atipica. Questo non certo per volontà del lavoratore autonomo ma come effetto implicito in un processo organizzativo e produttivo che individua e mantiene la propria cellula costitutiva nel lavoro precario. L’impresa addirittura, ove possibile, ha, fino a questo momento (si sono ricostruite sequenze fino a 5 anni fa), allentato ancor di più i legami: da ciò deriva l’aumento delle partite Iva e delle collaborazioni occasionali, dei processi di cosiddetta autonomizzazione e atomizzazione del lavoro, con un aumento della fascia grigia del lavoro autonomo di seconda generazione, a scapito di altre tipologie, comunque non standard, di lavoro subordinato o parasubordinato.


 Alta competenza, bassi salari. Esiste una dinamica opposta tra livelli di competenza e di formazione e livello retributivo, come messo in luce dalle interviste: nonostante l’elevato livello di formazione del campione analizzato (soprattutto della componente femminile), il livello salariale si mantiene grandemente al di sotto di una media vagamente ipotizzabile per le professioni intellettuali, mentre contemporaneamente esplode al rialzo il fattore tempo collegato al lavoro. Il dato viene in qualche misura confermato dagli andamenti tra competenza, esperienza, formazione e dinamica occupazionale registrato in provincia di Milano: e due elementi sono sempre più in contraddizione paradossale.


 Precarietà strutturale. Nel caso del lavoratore cognitivo, del lavoratore della conoscenza, la precarietà tende strutturalmente ad assumere un ruolo ancora più marcato, laddove esiste una sorta di predisposizione naturale alla individualizzazione del rapporto di lavoro implicita nell’essenza imprescindibilmente individuale della prestazione stessa. Da questo punto di vista porre attenzione all’area del lavoro autonomo e delle collaborazioni risulta determinante per una categoria come quella dei giornalisti, che non casualmente si è trovata di fronte a un’implosione del fenomeno in termini che ha pochi eguali in altre categorie.


 L’ abbassamento del profilo professionale. La standardizzazione della conoscenza imposta al lavoro intellettuale cognitivo è funzionale al modello infoproduttivo introdotto con il passaggio dal fordismo al sistema di accumulazione flessibile. Esso si appoggia su una rivoluzione tecnologica che ha reso immediatamente trasmissibile e riproducibile il fattore conoscenza. La mercificazione del sapere, la trasformazione di informazione e conoscenza in oggetti di consumo, portano a una progressiva frantumazione del rapporto privilegiato che è esistito, in passato, tra capitale e classi medie knowledge workers. Si genera così una sfasatura tra le aspettative del lavoro concreto, che si credeva direttamente collegato a un alto profilo professionale, con conseguente riconoscimento del proprio sapere e della propria specializzazione, e la realtà a cui le forze intellettuali vengono piegate.


 Il sindacato arranca. Per ciò che ci è dato capire anche dai risultati della ricerca e dalle percezioni che i lavoratori autonomi ne hanno, il sindacato arranca ancora dietro all’introduzione del lavoro non standard. Non a caso due terzi dei lavoratori autonomi intervistati nella ricerca ammettono di sentirsi poco rappresentati della compagine sindacale. Ricordiamo che, a livello nazionale,nelle piccole imprese - che pure costituiscono la base produttiva italiana - il sindacato è coinvolto dalle imprese nella definizione di accordi sul lavoro flessibile solo nel 3% dei casi. Sarà questa la tendenza, anche nel caso della grande impresa? Il tentativo di rendere inefficace la contrattazione collettiva, eleva a modello quanto giù avviene nelle Pmi? Il primo obiettivo, il minimo, richiesto dai free lance è quello di ottenere garanzie (nel contratto collettivo di lavoro ma anche a livello locale, aziendale) sull’entità decorosa dei guadagni e sui tempi di pagamento.


 Il processo di femminilizzazione del lavoro. Il processo di femminilizzazione del lavoro in corso in Italia a partire dai primi anni Novanta viene del tutto confermato, in termini quantitativi e qualitativi (intendendo in questo caso, con questo secondo termine, il portato differente della partecipazione al lavoro delle donne), dai dati della ricerca sui free lance della Rcs Periodici presentati in questo rapporto. Il concetto di autonomia, su cui molto hanno insistito i free lance del campione, si coniuga da vicino con il concetto del piacere dello svolgere il proprio lavoro in modo libero e creativo (lavoro concreto). L’automatismo implicito negli oggetti tecnici che implicano la produzione contemporanea porta con sé, evoca, in misura crescente il desiderio dell’autonomia. “Il segreto della società futura non possiamo leggerlo già in questo sdoppiamento che la rende strutturalmente autonoma (desiderosa di esserlo) e nel contempo funzionalmente programmata?” (Naville p. 202, 1998). Inoltre, teniamo conto che in un futuro prossimo, molto prossimo, l’universo delle comunicazioni dominerà quello delle produzioni.


Uno stato sociale attivo. Va allora immaginato uno stato sociale attivo. In presenza di standard di vita decrescenti - che penalizzano in misura crescente le classi medie e le professioni intellettuali, come ben messo in luce dall’inchiesta sui giornalisti precari della Rcs Periodici - vanno introdotte misure redistributive, giustificate anche dalla necessità di remunerare un’attività lavorativa che sempre più eccede l’orario certificato di lavoro in un contesto che rende produttive le facoltà vitali e relazionali degli individui. Si potrebbe  ipotizzare l’introduzione di forme di sostegno al reddito al di sotto di una certa soglia, a prescindere dalla tipologia contrattuale e dalla condizione professionale. Si veda anche, pur nelle complesse differenze di struttura produttiva e sociale rispetto all’Italia, il modello finlandese che rappresenta comunque un suggerimento di cui  varrebbe la pena di tenere conto. Da questo punto di vista, interventi riformisti a sostegno del reddito per i lavoratori/trici ancora attivi/e (come richiesto anche da parte degli  intervistati stessi delle ricerca qui presentata) ed esigenze di riformulazione del welfare diventano sempre più ineludibili e si trasformano in interventi a sostegno del mercato del lavoro.


 Un nuovo ruolo di rilievo per il sindacato. Diritti sociali di base e diritti del lavoro (o meglio, dei nuovi lavori non standard) vanno rivendicati congiuntamente, perché portati con sé dalla nuova  complessità sociale, senza certo dimenticare di fornire soluzioni coerenti e valide per la  sostenibilità economica di tali interventi. In questa inedita articolazione potrebbe profilarsi, in potenza, un nuovo ruolo di tutto rilievo anche per i sindacati, anche per il sindacato dei giornalisti.


(in: http://www.lsdi.it/dossier/precariato/index.html)


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Chi è il  collaboratore fisso


Il giornalista assume la posizione di “collaboratore fisso” quando, con opera non quotidiana, assicura all’editore la copertura dell’informazione in un determinato settore – Ciò comporta la responsabilità di un servizio - In base all’art. 2 del contratto nazionale di lavoro giornalistico deve ritenersi lavoratore subordinato con la qualifica di “collaboratore fisso” il giornalista che non presti la sua opera quotidianamente, purché sussistano continuità di prestazione, vincolo di dipendenza e responsabilità di un servizio. Il requisito della responsabilità del servizio deve essere inteso come l’impegno del giornalista di trattare con continuità di prestazioni uno specifico settore o specifici argomenti di informazione. Deve perciò ritenersi collaboratore fisso colui che mette a disposizione le proprie energie lavorative per fornire con continuità ai lettori della testata un flusso di notizie in una specifica e predeterminata area dell’informazione, attraverso la redazione sistematica di articoli o con la tenuta di rubriche, con conseguente affidamento dell’impresa giornalistica, che si assicura così la copertura di un’area informativa rientrante nei propri piani editoriali, contando per il perseguimento di tale obiettivo sulla piena disponibilità del lavoratore anche nell’intervallo tra una prestazione l’altra (Cassazione Sezione Lavoro n. 833 del 20 gennaio 2001, Pres. De Musis, Rel. Putaturo Donati).


 Giornalisti free lance: liberi di morire di fame


Il 90% dei giornalisti autonomi guadagna meno di tremila euro lordi al mese. Una sola nota positiva: diminuiscono subordinati e parasubordinati  (08/05/2007-www.newslinet.it).


Il giornalista free lance è una figura che sta prendendo piede, sta istituzionalizzandosi, negli ultimi anni. Si tratta, in pratica, di collaboratori retribuiti di quotidiani, settimanali, organi d’informazione in generale, che lavorano per i suddetti, pur senza farne parte direttamente: sono autonomi, collaborano con le redazioni dall’esterno. I free lance, in Italia, sono circa 12mila e la loro scelta è motivata dalla volontà di sfuggire agli orari, alla monotonia della vita redazionale, ma anche dalla scarsa fiducia che essi nutrono nei confronti degli editori, cosa che li spinge a cercare sempre e comunque la massima autonomia, di pensiero prima ancora che di lavoro. Tra di loro, solo il 10% percepisce più di tremila euro lordi mensili, una piccolissima cerchia, confrontata con il restante 90% che per arrivare a fine mese ha bisogno di veri e propri salti mortali: tra questi, il 20% guadagna tra i 2.500 e i 3.000 euro lordi, il 12% tra i 1.800 e i 2.500, il 18% tra i 1.200 e i 1.800, addirittura il 22% tra i 600 e i 1.200, ed il restante 18% meno di 600 euro. Il gruppo più folto, quindi, percepisce un salario che si aggira sui mille euro mensili: meno male che l’età media è molto bassa, figurarsi mantenere una famiglia con mille euro il mese: una pazzia. L’età media, in particolare, si concentra nell’intervallo 25-45 anni, con una prevalenza di giovani tra i 25 e i 35. In generale, poi, le donne sono la maggioranza (58%), seppur di poco, e rappresentano la fascia più erudita dei giornalisti free lance (62% di laureate contro il 47% di laureati). C’è, poi, una nota positiva, che però racchiude, al suo interno, un aspetto che poi così positivo non è: nell’esercito dei 12mila, l’80,9% svolge un lavoro autonomo, con tanto di partita Iva (cinque anni fa erano solo il 48,8%), a fronte di un 11,1% di para-subordinati (co.co.co.) e di un 7,9% di subordinati, lavoratori a tempo determinato (erano il 30,2% nel 2002!). Questo dato, sostanzialmente positivo, cela in realtà un rovescio della medaglia un po’ meno confortante: tale genere di professione (il free lance) si sta istituzionalizzando sempre di più, segno della sempre crescente precarietà che caratterizza il mestiere del giornalista e della sempre minor propensione di quest’ultimo ad assoldarsi ai poteri forti, rappresentati dagli editori: meglio averci solo rapporti occasionali, sono più rischiosi, certo, ma la dignità non ha prezzo. (Giuseppe Colucci per NL).


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Biancheri (Fieg): “Professionisti


autonomi? Sono appena 1.900”


Roma, 21 luglio 2006. Il presidente della Fieg Boris Biancheri ha inviato al ministro del lavoro Cesare Damiano ed al presidente della commissione cultura della camera Pietro Folena un documento di analisi sulla situazione economica e sindacale del settore stampa. Il documento, che affronta tra l'altro il tema dell'occupazione giornalistica in base ai dati Inpgi 2005, evidenzia un aumento dell'occupazione giornalistica nell'ultimo quinquennio con "un tasso di espansione di circa il 4% all'anno, che -sottolinea il documento- non trova riscontro in nessun altro settore di attività". "Sono aumentate -vi si legge- sia la popolazione stabile a tempo indeterminato, sia quella assunta con contratti a termine". "Si è incrementato anche l'utilizzo del lavoro autonomo che, per i professionisti, interessa circa 1.900 unità che svolgono attività autonoma piena e qualche centinaio di pubblicisti nelle stesse condizioni". I cosiddetti precari sono "il 6,22% della popolazione stabile, percentuale che è inferiore di oltre la metà rispetto alla media nazionale". "Il fenomeno della cosidetta precarietà -si legge ancora nel documento- risultante dai dati indicati, si prospetta come assolutamente fisiologico rispetto alle esigenze produttive dell'informazione". (ANSA)


Serventi Longhi: “La Fieg mente.


Sono precari oltre 30mila giovani”


Roma, 21 luglio 2006. ''La Fieg mente sapendo di mentire. I dati sull'occupazione giornalistica diffusi oggi dagli editori - ha dichiarato il segretario generale della Fnsi, Paolo Serventi Longhi - sono un esempio di mistificazione e di distorsione della realtà. Il Minculpop non avrebbe potuto fare di meglio. La realtà è che la Fieg sembra ignorare che l'aumento del 16% dei posti di lavoro negli ultimi anni  è determinato in larga parte dagli effetti del contratto dei giornalisti dell'emittenza radiotelevisiva locale (contratto Aeranti-corallo, niente a che vedere con la Fieg) e di quelli stipulati nell'ambito dell'applicazione della Legge 150 negli uffici stampa delle Regioni, delle Province e dei Comuni e degli altri Enti Pubblici. Dai dati Inpgi si evidenza, nel settore Fieg, un aumento nel triennio 2003-2005 del 2,2%, una percentuale molto lontana da quelle enunciate in maniera confusa dalla Federazione degli Editori. Quello che è più grave, è che la Fieg non precisa che di questo aumento i contratti a termine rappresentano la parte più significativa. Secondo l'Inpgi, infatti, questi contratti a tempo determinato, talvolta anche di un mese, sono aumentati del 72%''. ''La Fieg inoltre - prosegue Serventi Longhi - mistifica sul numero dei giornalisti che hanno rapporto di lavoro autonomo. Altro che 1.900 freelance! Gli iscritti alla gestione separata dell'Inpgi per il lavoro autonomo sono quasi 22.500. Di questi poco più di un migliaio hanno anche un rapporto di lavoro dipendente. Se si considera l'area di evasione o di elusione della contribuzione all'Inpgi2, si può ragionevolmente affermare che sono oltre 30.000 le giornaliste ed i giornalisti che sono nell'area del precariato senza alcun rapporto di lavoro. La stessa Fieg è costretta ad ammettere che la retribuzione media di un giornalista autonomo è di circa 7.000 euro l'anno, un compenso che tiene anche conto delle alte retribuzioni di poche decine di fortunati colleghi. Questa è la realtà che la Fnsi e l'Inpgi hanno denunciato e che presenteranno nel dettaglio al Ministro del Lavoro, Cesare Damiano. E' ridicolo affermare che il fenomeno del precariato giornalistico sia fisiologico. Si tratta invece di una abnorme condizione che discrimina e marginalizza decine di migliaia di ragazze e ragazzi che vivono di giornalismo in una condizione di sfruttamento e di precarietà. Nulla invece - conclude il segretario della Fnsi - dicono gli editori sul fatto che le retribuzioni lorde nelle aziende Fieg siano cresciute ben al di sotto dell'inflazione reale, smentendo la campagna di disinformazione sui presunti effetti del peso degli scatti di anzianita'''. (ASCA)


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 Un libro sul giornalista precario


Il sogno di Perfettino Fumoni, Pieffe per gli amici


ma anche per i (tanti) nemici, è fare il giornalista


Chiara Lico, ZITTO E SCRIVI - Storia di Pieffe, giornalista praticante con contratto a termine da metalmeccanico, Stampa Alternativa / Nuovi Equilibri, Pagine 184 - Euro 10,00


 Giovane ma non più giovanissimo, il precario lavora a tempo pieno per una remunerazione irrisoria e con un contratto a tempo determinato che lo espone, indifeso, alle angherie, ai ricatti, allo sfruttamento. La sua grama esistenza, emblematizzata nella storia comico-grottesca e infine tragica di Perfettino Fumoni (Pieffe: giornalista mancato e precario senza onore né gloria), è quella stessa che in Italia interessa quasi il 12% dell’occupazione totale.


di  Stefano Milani


C'era una volta il giornalismo. C'era una volta una Professione, con la P maiuscola, che regalava rispetto, guadagno e anche un pizzico di ammirazione. Del tipo: "Che lavoro fai?". "Il giornalista". "Caspita, un lavoro meraviglioso. Viaggi, gente famosa, ottime conoscenze...". "Beh più o meno...". Vaglielo a spiegare che i tempi di Hemingway e Montanelli sono lontani. Che le macchine da scrivere polverose le puoi trovare solo in qualche mercatino dell'antiquariato. Roba nostalgica da "si stava meglio quando si stava peggio". E per un Indro Montanelli che muore un Perfettino Fumoni che nasce. E' lui il protagonista di questo bel romanzo dell'esordiente Chiara Lico - "Zitto e scrivi" pubblicato da Stampa Alternativa - dal sottotitolo crudo e illuminante ("storia di Pieffe, giornalista praticante con contratto a termine da metalmeccanico") che la dice lunga sull'attuale stato di precarietà del mondo dell'informazione.


Il sogno di Perfettino - Pieffe per gli amici ma anche per i (tanti) nemici - è fare il giornalista. L'illuso non sa però che a sognare come lui in Italia sono in più di 30.000 e dei quali solo un terzo con in tasca un contratto nazionale da professionisti. Ma chissenefrega, l'occasione che gli si prospetta è troppo ghiotta per pensare ai grandi numeri: un lavoro in un'agenzia giornalistica on-line con tanto di praticantato giornalistico. Basterà però frequentare per pochi giorni la redazione e capire che la realtà è ben diversa e che il suo praticantato... puff! si è magicamente trasformato in un contratto a termine da metalmeccanico senza nemmeno la sicurezza del rinnovo. Invece di ribellarsi a un sistema che lo sta annientando, e per paura di perdere il posto, Pieffe comincia a non reagire ai soprusi dei suoi capi fino ad arrivare al paradosso di giustificarli. Ed è così che, man mano, si trasforma in una sorta di inetto dei tempi moderni, un alienato delle notizie brevi, un antieroe destinato alla sconfitta.


"Ogni riferimento a luoghi e persone non è casuale", si legge a pagina due del libro. Più che una precisazione sembra una minaccia, una sentenza. Quindi giovani aspiranti giornalisti - precariati e mazziati - siete avvertiti.


 (da: http://www.rivistaonline.com/rivista/ArticoliCultura.aspx?id=3580)


 Mi presento: Chiara Lico


Sono nata a Roma nel 1975. Giornalista professionista dal 2000, lavoro in RAI. Laureata in Lettere, con la mia tesi di laurea ho conseguito il premio MURSIA. Ho anche vinto il premio Enzimi con il mio racconto Denada. Prima di arrivare in RAI sono stata nella redazione del Tg5, al gruppo Repubblica/L’Espresso e nel settimanale liberal. Ho collaborato con Caffè Europa (Reset). Qui troverete articoli, reportage e servizi che ho scritto per approfondire il lavoro che quotidianamente svolgo. Ma c'è anche una sezione (Cronache di vite imperfette) dedicata a storie e racconti. Ispirati, anche questi, all'attualità.







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