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LA REPUBBLICA DEL 7.7.2021 - - ITALIANI BRAVA GENTE - Addio a Del Boca, la coscienza dello storico - È morto a 96 anni il grande studioso del colonialismo. Scoprì i nostri crimini in Africa e li denunciò. Lavorò nelle vecchio "GIORNO" di Italo Pietra.

di Umberto Gentiloni

Giornalista, scrittore, storico, testimone del secolo scorso, difficile trovare una definizione univoca per la traiettoria intellettuale di Angelo Del Boca, morto ieri a Torino a 96 anni. Si è mosso tra ambiti e competenze diverse con rigore e puntigliosità animato da una profonda sete di conoscenza. I suoi giudizi sul colonialismo italiano hanno segnato un perimetro indelebile: pioniere di piste di ricerca, attento osservatore di carte e documenti, di memorie e biografie semi sconosciute. Una vita dedicata all' indagine storica dopo che aveva proposto, negli anni della ricostruzione, una raccolta di racconti Dentro mi è nato l' uomo (Einaudi, 1947).


«A fare di me un buon testimone del Novecento è valsa anche la mia scelta professionale, che mi ha portato in ogni angolo del mondo - così scriveva in apertura della autobiografia Il mio Novecento (Neri Pozza 2008) - dove c' era qualcosa d' insolito o di catastrofico da verificare. Così posso ben dire di aver vissuto quasi l' intero secolo pienamente e dotato degli strumenti più validi per percepirlo ». La cifra più forte della sua attività è proprio quel richiamo agli strumenti, alla capacità d' interrogare il passato con il metodo dell' esplorazione, con l' abilità critica di verificare ipotesi, analisi, conclusioni.


Una vita nel segno della ragione come scelta irrinunciabile. La ragione per conoscere ciò che non sappiamo, ma anche e soprattutto la ragione come stella polare per agire nel presente comportandosi secondo coscienza, senza mai scivolare nella grande corrente del conformismo dominante. Del Boca ha difeso le sue posizioni pubblicamente, ha polemizzato quando riteneva giusto e necessario farlo: con Alessandro Lessona, gerarca fascista già ministro per l' Africa italiana, con Indro Montanelli nello scorcio conclusivo del '900 discutendo sull' uso dei gas e delle armi di distruzione di massa da parte dell' esercito italiano in Africa orientale. La conclusione del confronto dà pubblicamente ragione alle tesi di Del Boca sulla natura del colonialismo italiano, sulla sua violenza che colpisce popolazioni e oppositori.


Ma sarebbe riduttivo e miope schiacciare lo scrittore e lo storico sulle polemiche pubbliche: chi lo ha fatto in passato ha cercato di sminuirne la portata scientifica ridimensionando lo studioso per proporre l' immagine di un polemista agguerrito. Al contrario, i suoi libri hanno segnato percorsi di conoscenza mettendo in discussione giudizi che sembravano intoccabili, rafforzati da un senso comune che spingeva verso la giustificazione di pagine imbarazzanti e spesso vergognose.


«Per oltre sessant' anni - scrive sempre nel 2008 - prima come giornalista, poi come storico e docente, ho lavorato per fornire informazioni agli altri». Guardava fuori dal perimetro conosciuto sforzandosi di semplificare questioni complesse, raccontando con semplicità accompagnando il lettore nei tornanti più nascosti della storia dell' Italia coloniale. A partire dalla seconda metà degli anni Settanta del Novecento iniziano a uscire da Laterza i sei volumi della sua opera monumentale, Gli italiani in Africa Orientale e in Libia che riempiono un vuoto aprendo contestualmente il confronto di merito sulle eredità del colonialismo, sul peso del passato e sulle tante rimozioni che accompagnano il cammino della Repubblica.


Da quel passaggio fondamentale non è più uscito dal dibattito storiografico qualificandosi con una produzione che dal colonialismo si dirige verso altri ambiti controversi: il Risorgimento e le eredità dei Savoia, le biografie del Negus e di Gheddafi (Laterza 1995 e 1998), il peso della Resistenza nella storia della Repubblica ( Nella notte ci guidano le stelle: la mia storia partigiana , Mondadori, 2015) in un elenco che potrebbe essere molto più lungo. Il contributo allo studio del colonialismo italiano rimane il risultato più robusto, resistente e pregiato. Non si può prescindere dai suoi scavi archivistici, né ridimensionare il tentativo ostinato di far crollare il mito degli italiani brava gente come riparo ipocrita dalle responsabilità individuali e collettive.


Al contrario Del Boca cerca le cause delle violenze nei comportamenti «di uomini comuni che hanno agito per spirito di disciplina, per emulazione o perché persuasi di essere nel giusto» ( Italiani, brava Gente? Neri Pozza, 2005). Un atteggiamento diffuso che emerge anche a distanza di decenni condizionando lo sguardo a ritroso: «Tanti popoli si sono macchiati d' imprese delittuose. Tuttavia soltanto gli italiani hanno gettato un velo sulle pagine nere della loro storia ricorrendo ossessivamente a uno strumento autoconsolatorio».


In questo quadro analizza il ricorso alla violenza sistematica e incontrollata, la spinta dei conquistatori contro le popolazioni indigene, la presunta superiorità che il fascismo cerca di proiettare fuori dai confini nazionali. Un giudizio severo che non si unisce ai facili interpreti del disfattismo del dopo, del tutto comunque irrimediabilmente sbagliato: «Malessere, pessimismo ma non declino inarrestabile di una nazione, come alcuni proclamano con impulsi autodistruttivi». Sono parole che potrebbero collocarsi in un tempo sospeso, in equilibrio tra passato e presente: «Continuo a riporre una grande fiducia in quell' esercito di quattro milioni di volontari che ogni giorno, in silenzio, quasi in segreto, scende nelle strade d' Italia e del mondo per combattere la sofferenza nei suoi mille aspetti. Un paese che possiede una tale risorsa, che molti ci invidiano, non può soggiacere a lungo nel malessere, non può imboccare la via del declino».


©RIPRODUZIONE RISERVATA "Tanti popoli si sono macchiati di imprese delittuose Tuttavia solo noi abbiamo gettato un velo assolutorio sulle pagine nere" Propaganda In alto, battaglioni indigeni rientrano ad Addis Abeba (Achille Beltrame,1937)





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