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Eroi in grisaglia. La memoria sorregge il presente e il futuro della Nazione.

di Filippo Senatore

Milano 1933. Un giorno imprecisato. Arriva in città un giovane   in grisaglia grigia occhialuto e miope. Siciliano si è laureato a Venezia in Scienze diplomatiche. I suoi maestri sono Gino Luzzatto e Silvio Trentin, quest’ultimo riparato in Francia per non giurare fedeltà al regime fascista. Il giovanotto si reca in Piazza Scala con una lettera indirizzata a Raffaele Mattioli amministratore delegato della Banca Commerciale Italiana.  Verrà assunto all’Ufficio Studi diretto da Antonello Gerbi. Il giovane è un tessitore e cerca suoi simili per scambiare con molta cautela idee sovversive. Subito si lega al quasi coetaneo Adolfo Tino, avellinese  un passato di giornalista e avvocato della Banca di Mattioli. Attenti a quei due. L’altro è Ugo La Malfa dal cuore d’acciaio nonostante le apparenze. Ama Lodovico Ariosto e declama dentro di sé le gesta di Orlando. Con Adolfo si discute e si chiacchiera fino a tardi nella casa di Mattioli in via Bigli. I due solitamente cenano alle “Colline Pistoiesi” un ristorante in via Amedei e giocano a scopone con i proprietari della trattoria, Pietro Gori e Idelio Pagni. A un tavolo c’è sempre, a turno, un signore solo: è un agente dell’Ovra. Alla fine del 1941 i due scrivono dettagliatamente la situazione politica italiana. La relazione è cucita nella giacca di Enrico Cuccia in missione per la Banca Commerciale Italiana in Portogallo. Questi lo consegna all’ambasciatore americano George Kennan che lo inoltra al conte Carlo Sforza rappresentante degli esuli antifascisti italiani negli Stati Uniti (come Don Sturzo, Borgese, Salvemini, Toscanini).  Il documento verrà pubblicato da Sforza in forma di articolo il 23 giugno del 1942 dal «New York Times» in prima pagina e per esteso sulla rivista della Mazzini Society. Fu questa iniziativa che segnerà il riconoscimento ufficiale del movimento di resistenza italiano e la presa di contatto con gli anglo-americani. Sempre nel 1942 viene fondato a Milano il Partito d’Azione omonima denominazione risorgimentale del movimento di Giuseppe Mazzini. La Malfa e Tino scrivono il programma e l’editoriale del giornale clandestino “l’Italia Libera”. Dopo l’8 settembre La Malfa è braccato dai nazisti e riesce a rifugiarsi in Svizzera. Per avere una copertura viene designato professore di educazione fisica per figli del console Filippo Caracciolo, Marella, Carlo e Nicola. Il resto della biografia di La Malfa è noto. E’ morto 40 fa in trincea in anni difficili per il nostro Paese.

***


Anno 1933 di un giorno imprecisato. Un ragazzo di Pisa sposa a Parigi una profuga russa di famiglia ebrea. Negli anni 20 collabora  al quotidiano la Nazione. Gli squadristi di Firenze stanchi della sua ostinazione di fare il libero giornalista lo hanno bastonano per bene. Lo ha soccorso un deputato del partito popolare Giovanni Gronchi (futuro presidente della Repubblica) che lo fa nascondere a Milano nell’Istituto Cardinal Ferrari. Benso Fini questo è il suo nome non sopporta la quiete monacale e si rifugia a Parigi. Mesi di fame nera -persino il cibo raccolto nei rifiuti per sfamarsi- e poi cronista anonimo aiutante di Paolo Monelli corrispondente del Corriere della Sera. Dopo la dichiarazione di guerra alla Francia Fini rientra dall’esilio e viene assunto giornalista al Corriere della Sera. Il 9 settembre ‘43 la città di Milano occupata dai nazifascisti soffre ancora di più un sistema totalitario invasivo. L’agenzia Stefani è sottomessa dalla Dub potente agenzia di stampa germanica. La Gestapo entra in Via Solferino militarmente, raziona la carta e detta le notizie  attuando con i fascisti uno spionaggio capillare. I nuovi Ermanno Amicucci e Ugo Manunta rispettivamente direttore e vice sono fascistissimi.  Benso Fini, con la sua vecchia grisaglia grigia, una borsa di cuoio sdrucita e gli occhialini da miope, sfugge sempre ai controlli dei tedeschi e dei repubblichini. Fa  da tramite con una trentina di giornalisti latitanti come Indro Montanelli, Bruno Fallaci (zio di Oriana) Ettore Janni, Filippo Sacchi Giulio Alonzi, Gaetani Afeltra ecc. Tiene i contatti con i capi della resistenza (Cnl del Nord Italia) . Il suo ruolo è fontamentale nel convincere il direttore amministrativo Aldo Palazzi e la proprietà dei fratelli Crespi a sovvenzionare i fuoriusciti e la resistenza interna. Uomini come lui salvarono la nostra gloriosa testata che risorse nel dopoguerra rinnovata da Mario Borsa e da Gugliemo Emanuel. 


***


Ottanta anni fa Gilberto Mazzi canta alla radio “Se potessi avere mille lire al mese”.E’ il sogno di molti italiani nonostante il razionamento e l’autarchia imposta dalle sanzioni della Società delle Nazioni che condanna l’Italia per la guerra di Etiopia (1935/36) Il conflitto bellico mondiale di lì a poco dilata l’inflazione nel Paese.  Per un giovane come Angelo Aglieri di Monza, 27 anni, assunto scapolo nel ’42 a 1.300 lire al mese lordi in via Solferino con la mansione d’impiegato presso la segreteria di redazione, lo stipendio è comunque un approdo sicuro. Angelo lo immaginiamo come i suoi colleghi dell’epoca in grisaglia grigia e consunta con i manicotti neri usati per non sporcare di inchiostro la giacca. Nel maggio  del ’43 Aglieri mette su casa in viale Monza 23 e sposa l’amore della sua vita, la cremonese Alda Begnis. I 15 giorni di ferie matrimoniali passati fuori porta sono un po’ il sollievo dei novelli sposi martellati come tanti milanesi dai bombardamenti in città. Angelo dopo l’8 settembre entra nella Resistenza. Un suo collega di via Solferino, una spia, lo denuncia per averlo visto con delle armi che servono ai partigiani. Arrestato il 24 maggio 1944, è condotto a San Vittore e da qui deportato a Fossoli. La moglie Alda vuole rivedere ancora una volta suo marito e lo raggiunge con mezzi di fortuna. La notte dell’11 luglio 1944 Aldina è testimone della strage di 67 prigionieri innocenti al Poligono Cibeno di Carpi.  Lei rivede Angelo il 25 luglio su un cellulare che lo sta portando dal campo di concentramento a Bolzano. Urla: “Angelo, Angelino”. Lui si volta e la saluta per l’ultima volta con la parola “Aldin” strozzata in gola, con il cenno della mano e un bacio al vento.  Il 5 settembre 1944 al campo di concentramento di Flossenbürg, Aglieri muore alla vigilia di Natale. I  colleghi di lavoro lo ricordano nella pagina milanese del “Corriere d’Informazione” il 1° agosto 1945. Dal 2018 Angelo è   “una pietra d’inciampo” in viale Monza 23 per ricordarlo tutti.


La pietra è una fronte dove i sogni gemono


senza avere acqua curva né cipressi ghiacciati.


La pietra è una schiena per portare il tempo


Con alberi di lacrime, con nastri e con pianeti.


Federico Garcia Lorca


 


 


 




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