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Stampa

INTERVISTA AL PRESIDENTE
DELL’ORDINE DEI GIORNALISTI
DELLA LOMBARDIA
DOTTOR FRANCO ABRUZZO
realizzata a Milano in data
26 maggio 2003 da Alessandro Errigo

Come si pone l’Ordine dei Giornalisti relativamente alla Comunicazione in ambito medico –scientifico e che indicazioni vengono date ai giornalisti ?


                                       


Noi abbiamo trattato diverse volte questo argomento, soprattutto su Tabloid [è diretto da Franco Abruzzo ed è il giornale mensile dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia]. L’abbiamo trattato non solo in occasione della vicenda Di Bella, ma anche prima abbiamo stilato sul nostro giornale delle regole, che poi sono le regole generali della professione giornalistica e sono molto improntate alla serietà, al rigore e alla verifica delle fonti. Vengo da una esperienza rilevante in questo campo: da giovane, a partire dall’età di 19 anni, ho lavorato a il Giorno di Italo Pietra. In quegli anni, cioè durante gli Anni Sessanta e l’inizio Anni Settanta, collaboravano con il Giorno due grandi medici: Diaigilbourg da Torino e il professor Maccacaro di Milano. Vengo da un giornale che ha fatto scuola e che ha insegnato a tutti gli altri come si trattano le informazioni medico – scientifiche, cioè con estremo rigore, perché queste notizie attengono ad una sfera delle persone che riguarda la speranza di vivere. Quindi le notizie che arrivavano per agenzia, per esempio, non venivano passate ed inserite nelle pagine, anche se si presentavano seducenti, perché, proprio in ragione di questo, potevano creare delle speranze in persone che erano ammalate o che avevano congiunti ammalati.


 


Ecco, e quindi, proprio per questo, che cosa è stato pubblicato più di preciso dall’Ordine dei Giornalisti della Lombardia a completare quello che è il Codice Istitutivo della Professione ?


 


Abbiamo pubblicato delle nostre indicazioni sulla prima pagina di Tabloid, abbiamo dato spazio anche al Codice di Perugia in tema di informazioni medico – scientifiche ed abbiamo invitato dei professori Universitari a tenere dei corsi presso la nostra Scuola di Giornalismo, grazie alla quale abbiamo formato in 25 anni la bellezza di seicento giornalisti che sanno come debbano essere trattate le notizie scientifiche. Poi, siamo in collaborazione con la Facoltà di Farmacia da anni, cioè dal 1991. All’epoca ero Presidente della Scuola, oltre che dell’Ordine, ed abbiamo avviato una bella collaborazione con il professor Paletti che permane ed è ancora viva. Quindi abbiamo riconosciuto l’importanza di una informazione medico – scientifica corretta.


 


N.d.R. : il Presidente Abruzzo ci ha fornito del materiale, tra cui la fotocopia della prima pagina di Tabloid del giugno 1991. In taglio centrale è pubblicata una tabella intitolata Cinque regole per il cronista:


 



  1. Il cronista si limiti a raccontare i fatti e ad assicurarsi con opportune verifiche della loro veridicità attingendo a fonti qualificate

  2. Il titolista rispetti il significato del pezzo

  3. Il redattore medico verifichi il pezzo di cronaca e, se del caso, lo commenti per dissipare eventuali dubbi che possano insorgere nel lettore

  4. Il redattore medico crei una rete di esperti affidabili con i quali consultarsi per meglio inquadrare le tematiche più complesse

  5. Il direttore promuova e sostenga con impegno questo assetto organizzativo a tutela della serietà della testata.

 


 


Nell’ambito dei vari giornali e telegiornali è opportuno che vi sia un comitato scientifico, per quanto riguarda i contenuti medico – scientifici ? E può occuparsi di queste materie un giornalista che non abbia precise competenze in merito ?


 


Rispondo prima alla seconda domanda dicendo di sì, a patto che il giornalista abbia delle fonti. Poniamo il caso che arrivi dall’America la notizia che il cancro al colon è debellato con aloe pura, devo avere un riscontro attraverso le mie fonti, che possono essere date da scienziati della materia che mi sappiano valutare la notizia e che mi possano essere utili. Quindi devo avere dei filtri e dei collegamenti (ad esempio con l’Istituto Negri, piuttosto che con il San Raffaele, con il Policlinico, piuttosto che col Riguarda o con il Monzino o con il Sacco). Così, se non sono preparato, posso colmare le mie lacune. Ma anche i giornalisti laureati in materie scientifiche devono sempre avere l’accortezza e la prudenza di filtrare la notizia parlando con delle persone di alto livello scientifico. Questa è la regola elementare che noi abbiamo insegnato nella nostra Scuola di Giornalismo e che ripetiamo in tutti i modi.


 


Però, molti Suoi colleghi lamentano il fatto che la medicina sia fatta sempre più di specializzazione (rendendo difficile una valutazione da parte di medici che non abbiano la medesima competenza, pur essendo della stessa branca) e che spesso non sia facile avere una risposta obiettiva da altri medici (che, magari, tendono a sottovalutare la portata della scoperta di un collega per motivi di invidie o di convenienza). Spesso, dunque, il risultato è la rinuncia alle opportune verifiche. Le pare giusto ?


 


Noi non possiamo occuparci delle gelosie – che pure ci possono essere tra medici e fra scienziati –. Il punto è che il giornalista deve fare un lavoro con assoluta umiltà e deve sentire più fonti. Soltanto sentendo almeno due o tre fonti riesce a capire la notizia nuova, specie – come succede il più delle volte – se arriva dagli Stati Uniti. Lì si fa tantissima ricerca. E’una ricerca grossissima, imponente, che procede grazie a grandissimi capitali. Prima della Guerra le notizie arrivavano dalla Germania. Sono cambiati gli scenari, ma non la necessità e l’umiltà di parlare con chi ne sa di più. Ma questo vale per tutte le materie che i giornalisti trattano. Così, se c’è un fatto processuale, parlare con gli avvocati, con i professori universitari, filtrare la notizia, capirla per spiegarla bene ai cittadini. Nel campo scientifico c’è l’aggravante che andiamo a toccare la sfera personale delle persone che riguarda la speranza. Quindi ci vuole responsabilità al massimo da parte del giornalista.


 


Il giornalismo è diventato sempre più una corsa contro il tempo per battere la concorrenza. Nel caso delle notizie relative a scoperte scientifiche chi ci può andare di mezzo è il paziente. Si pensi ai grandi titoloni del tipo: Scoperta cura contro il cancro, salvo poi ridimensionarla due o tre giorni dopo (magari dicendo che la ricerca è ancora agli inizi. Se vi sarà un farmaco, sarà pronto fra dieci anni). Ecco, allora, come tutelare maggiormente il paziente ?


 


La tecnica è quella che seguivo al Sole 24 Ore, dove ho chiuso la mia carriera come caporedattore centrale: si dia pure la notizia, con un commento di uno scienziato sotto. Era quello che facevamo noi. Ci sono ancora dei redattori medici. Il commento, però, deve essere scritto da una persona che venga dal mondo dell’università e della ricerca.


 


Però rimane il problema dei titoli: anche i giornalisti del Corriere della Sera che abbiamo avuto modo di contattare lamentano il fatto che magari il loro lavoro è impeccabile e rigoroso, mentre il titolo – che è in grande risalto e viene letto da tutti – viene scelto dal titolista, che tende a sparare il titolone.


 


No, il titolo deve essere avalutativo e deve essere un titolo di cronaca sulla notizia. Tornando all’esempio di prima: Cancro al colon. Speranze dall’America. Il titolo non deve mai essere ultimativo, a meno che la fonte non dica che quella cura è ultimativa e cioè è quella giusta. Oggi c’è una alta coscienza. In questo campo non credo che si possa giocare con le speranze della gente. Insomma, c’è molta responsabilità. Quello che mi colpisce, però, su di un altro piano, è il fatto che certi giornali parlino di una certa malattia e poi, di seguito, mettano un articolo chiaramente pubblicitario che parli della medicina che andrebbe bene per quella malattia. Lì bisogna stare attenti, oltre al fatto che il Codice lo vieta.


 


A questo punto Franco Abruzzo ha voluto porre l’attenzione sul caso inerente la trattazione del caso Di Bella. Il Presidente non ha esitato a definirlo il peggiore esempio di giornalismo scientifico e ci ha consegnato copia cartacea del documento redatto da Gianna Milano, in collaborazione con esperti e giornalisti. Il testo, che riportiamo qui di seguito, è preceduto da una introduzione esaustiva. Il tutto può essere reperito in Internet al seguente indirizzo: http://www.odg.mi.it/dibella.htm


 


1.Ogni informazione relativa a un problema scientifico deve chiaramente indicare gli elementi             fattuali e le fonti cui si riferisce, favorendo al massimo la distinzione tra esistenza di dati e opinioni.   L’informazione non deve confondere la scienza con la fede e le speranze con i fatti, essenza del giornalismo. E questo vale anche per gli opinionisti.


2. Il giornalista, non solo scientifico, deve "capire prima di scrivere" e acquisire strumenti di verifica. Spesso per mancanza di tempo, pigrizia, arroganza o altro si omette di approfondire. La qualità dell’informazione non va sacrificata alla "voglia di scoop" o essere usata per alimentare emozioni e illusioni, quando il tema trattato riguarda la salute ed è in gioco la vita di esseri umani.


3. Va affidata a un giornalista esperto la stesura di un articolo che richiede competenze adeguate. In ambito scientifico si ritiene invece sia consentito opinare a ruota libera. A nessun direttore verrebbe mai in mente di affidare un articolo di alta finanza o di politica estera o di sport a un giornalista non esperto in quelle materie.


4. È dovere dei membri della comunità scientifica informare in modo costante e corretto i mass media. Così come spetta al medico, in prima persona, stabilire una comunicazione-informazione, che sia continua e comprensibile nel linguaggio, con il paziente.


5. La responsabilità di una cattiva informazione riguarda sia i giornalisti che scrivono, sia i direttori che decidono quale taglio e quali contenuti dare all’articolo, spesso più in base a scelte editoriali e ideologiche che non a un’effettiva conoscenza dei fatti.


6. Su temi delicati che alimentano speranze e aspettative sarebbe necessaria una discussione ampia e un confronto collegiale che attivi competenze anche diverse. Invece, lo spazio che viene dato all’interno dei giornali al dibattito delle idee e all’analisi dei fatti è spesso inesistente o esiguo.


7. Il diritto di cronaca non può esimersi dalla valutazione dei fatti, dalla documentazione raccolta e dal contesto in cui essi si svolgono. La stampa avrebbe più credibilità se ai "fenomeni" della sanità (e della malasanità) desse un’attenzione costante e propositiva e non si limitasse a intervenire sui casi clamorosi. Il giornalista scientifico deve saper uscire dagli steccati specialistici e affrontare i dilemmi morali e sociali posti dalla scienza contemporanea, superando i confini della mera notizia o scoperta.


8. Meglio puntare sui due cardini del pensiero scientifico: il senso critico (utile per discernere il vero dal falso e per non cedere alla tentazione di credere in ciò che si vorrebbe fosse vero) e la curiosità (che trova alimento nella ricerca scientifica), piuttosto che fare informazione spettacolo.


9. Dopo che il clamore si sarà attenuato e il "caso Di Bella" sgonfiato, la stampa ha il dovere morale di tenere aggiornati i lettori sui risultati e sugli sviluppi della sperimentazione e sul loro significato. Un conto è rendere disponibile un trattamento per placare ansie e polemiche, un altro è sperimentare seriamente efficacia e sicurezza di una terapia.


10. I direttori dei giornali devono impegnarsi sin da ora a fornire un’informazione corretta sulle diverse fasi della sperimentazione, senza strumentalizzare ciò che man mano emergerà, ma riportando i termini del problema alla realtà dei fatti, nel rispetto di quei principi democratici che devono ispirare il diritto dei cittadini all’informazione. Alla comunità scientifica, ai membri della Commissione oncologica, si chiede d’altra parte la trasparenza nella comunicazione dei risultati della sperimentazione in corso.


 


  Il documento è stato redatto da Gianna Milano che si è valsa dei suggerimenti e della collaborazione di esperti (Gianni Tognoni, Maurizio Bonatti, Angelo M. Petroni, Sandro Liberati, Renzo Tomatis) e di giornalisti (Francesca Amoni, Roberto Satolli, Fabio Pagan, Armando Massarenti, Cinzia Caporale).


 


Torniamo alla intervista.


 


Il caso Di Bella credo sia stato il peggior esempio di giornalismo in ambito medico – scientifico.


 


Mah, io ho conosciuto personalmente Di Bella. Lo conoscevo già indirettamente perché un mio cugino di primo grado, medico in Calabria, è stato suo allievo a Modena, ne ha un grande ricordo, di un grande medico, di un grande professore, di un grande ricercatore. Ma di qui a dire attraverso i titoli che abbiamo visto, quando il caso Di Bella è esploso, che quella cura era la cura definitiva, ce ne passa. Ciò ha provocato delle reazioni di altri medici illustri che hanno detto, parlando della cura Di Bella, che è una cura che non cura. Ho parlato con molte persone di grande livello. E mi hanno detto tutti così, perché non c’è una casistica ampia. Ma devo dire che un gruppo di giornalisti, in quel caso, ha reagito bene. Per esempio penso a Gianna Milano di Panorama, che ha guidato un gruppo di giornalisti collegati a scienziati ed a magistrati nell’invitare i colleghi alla prudenza. L’Ordine dei Giornalisti della Lombardia ha diffuso il documento firmato da Gianna Milano pubblicandolo su Tabloid, offrendo ai giornalisti una occasione di riflessione su questa vicenda.


 


Ha fatto molta impressione anche vedere l’impatto sulla gente derivante dal gran parlare sul caso Di Bella: addirittura ci sono stati cortei, manifestazioni,….


 


Ma è normale ! Sono stato a Mantova ed ho visto scene indicibili. In prima fila c’era il Procuratore della Repubblica, che mi ha detto: “Ero magistrato a Bologna, i medici di Bologna mi hanno detto che ero spacciato, poi uno mi ha detto che, giusto per togliermi ogni dubbio di avere provato tutto il possibile, potevo andare da un certo Di Bella a Modena. Di Bella mi ha curato ed eccomi qui.” Questo fatto risale al 1996 – 1997. Questo Procuratore era lì, con tremila persone. Ho assistito a scene di persone venute dall’Olanda che ringraziavano Di Bella. Però è chiaro che il caso Di Bella è diventato un caso di scontro politico, che ha fatto premio sugli aspetti scientifici. Il caso è stato gonfiato, al di là di ogni misura.


 


Non facciamo nomi [N.d.R. : Bruno Vespa], ma c’è stato addirittura chi ha scritto un libro…


 


Sì, sì. Si trattava di un instant – book. Sono cose che si fanno.


 


Ritiene, a questo punto, utile l’applicazione di nuovi codici di qualità per l’informazione relativa alla salute ? Esiste già qualcosa per Internet, mentre non c’è molto per quanto riguarda la carta stampata e la radiotelevisione.


 


Ma non è vero ! Le professioni intellettuali, come quella di giornalista, di medico, di ingegnere, di avvocato, hanno le regole scritte nella loro legge: le nostre regole sono legge. Non esiste un diritto di cronaca che sia svincolato da altri valori che la Costituzione protegge, cioè il limite al diritto di cronaca è il rispetto della dignità persona, il rispetto della verità sostanziale dei fatti. Questi sono i due sbarramenti che l’ordinamento pone. C’è da diffidare se un cronista asserisce di scrivere quello che vuole: non può farlo, perchè, almeno qui in Lombardia, l’Ordine vigila. Le regole, dunque, sono già nella legge: c’è un Codice sulla privacy che è anch’esso legge,…Ma che cosa vogliamo di più ?!


Se ne possono fare altri, ma i codici non sono altro che una esemplificazione e fanno casistica rispetto alle norme generali. Vengano pure, ma noi, come Ordine e come Giudici Disciplinari Amministrativi siamo in grado di operare con le leggi che abbiamo.


 


E quanto alla Carta di Perugia, secondo Lei, è il documento risolutivo ?


 


E’un documento che serve come casistica rispetto alle norme generali. Quando scrivo devo rispettare la dignità della persona, che è il cuore della Costituzione. Quindi la verità sostanziale dei fatti è che non posso scrivere delle cose non vere, come talvolta accade.


 


Secondo Lei, anche nel campo medico, vale la regola per cui vige sempre il dovere di informare e la necessità di dire tutto ? Un Suo collega, caporedattore, ha scelto di non affrontare il tema relativo al suicidio temendo fenomeni di emulazione. Secondo Lei è giusta questa autolimitazione ?


 


E’una vecchia legge fascista. Quando c’era Benito al Governo, che, non dimentichiamolo, era un giornalista, non si pubblicavano i suicidi. Questo tabù è stato rotto da il Giorno su di una storia tragica e bella. Io ne sono stato protagonista. Noi abitualmente non pubblicavamo nulla, ma la storia era molto significativa: in un canale era stato trovato il cadavere di un ragazzo poliomielitico con un bigliettino in tasca. Si era ucciso perché una ragazzina lo aveva respinto. Lo abbiamo trattato con grande delicatezza e con grande civiltà, con grande amore e con grandissimo rispetto e la storia è stata pubblicata. Certamente quando si parla di suicidio, si parla di un atto estremo, cioè della rinuncia alla vita. Chi è Cattolico e chi è praticante sa che la vita viene da Dio e che non abbiamo il diritto di togliercela. Si tratta di atti dettati dalla disperazione.


 


Fra i problemi non risolti c’è quello del rapporto tra giornalisti e mondo medico: spesso succede che chirurghi, magari anche famosi, si sentono in dovere di comunicare il risultato di una operazione da loro effettuata alla stampa, prima ancora che ai famigliari. Le corsie di ospedale diventano quasi uno studio televisivo…


 


Si capisce benissimo, perché ormai il grande mezzo di comunicazione totale è la televisione e quello che è nella scatola televisiva è la realtà, quindi è chiaro che è passata una linea di rendere spettacolare l’informazione. Ricordo con grande partecipazione quando il papa fu ferito in Piazza San Pietro. In quella notte ero a il Giorno. Abbiamo preparato 12 pagine ed ho visto tutti i colleghi che erano in ferie che sono tornati a lavorare con apprensione. Verso l’una di notte Sandro Pertini [all’epoca, presidente della Repubblica] uscì dall’ospedale dove il papa era stato operato da quel grande chirurgo calabrese che era Crucitti dicendo: “Ce la fa, ce la fa !” Era il papa, ma questo principio della spettacolarizzazione vale per tutti i personaggi: per Lucio Battisti, come per Alberto Castagna,…E’il mondo di oggi che spettacolarizza tutte le notizie, incluse quelle di carattere medico. Un punto è il rigore ed un punto è come diamo le notizie.


 


Secondo Lei il giornalista si è comportato meglio quando ha rispettato le richieste di Giorgio Gaber di non divulgare la notizia, o quando ha cercato di entrare nell’ospedale in cui era ricoverato Battisti ?


 


Il giornalista non può parlare di malattia. La malattia è un dato personale. Indubbiamente la persona può rinunciare alla sua privacy. Così Castagna ha scelto la linea di dire tutto, Battisti, di non dire nulla. Il povero Giovannino Agnelli ha detto “ho un tumore”. La salute è un dato sensibile su cui i giornalisti non possono scrivere nulla, a meno che non sia la persona interessata a dare il nullaosta.


Beh, però, proprio nel caso di Lucio Battisti, c’è stato un vero assalto.


 


Assalto sì. Il Corriere, ad esempio, faceva sei pagine, perché era un grande personaggio dello spettacolo, ma della malattia non ne parlava nessuno. Si sapeva che era grave.


 


Mah, io, sinceramente, avevo letto anche che si trattava di un tumore.


 


Che io ricordi, fu anche detto, però, credo, dalla Direzione Sanitaria dell’ospedale. Fu fatto capire che era grave e che era collegato al male del secolo. Il personaggio pubblico – va ricordata una regola che è in vigore da quarant’anni – ha meno tutele dell’uomo della strada.


 


Fino a che punto ?


 


Soltanto nella sua casa e nella corsia di ospedale, non si può entrare. Però se ne parla. Se Battisti, grande personaggio, amato da milioni di persone, è in ospedale, se ne parla, perché ci sono milioni di persone che vogliono sapere. E’un uomo che ha creato emozioni così profonde, quindi è chiaro che i fan vogliono avere notizie.


 


Certamente mi associo, senza però dimenticare anche le motivazioni dei famigliari.


 


I famigliari scelsero la via di non parlare, però si sapeva che era gravissimo. Fu data la notizia indirettamente: fu detto che stava facendo la chemioterapia. E’chiaro che la notizia è uscita fuori. Chi ha il segreto è il medico. Se i medici parlano….La chemioterapia è una cura, ma è evidente che si capisce di cosa sia affetto chi si sottopone alla chemioterapia.


 


Tornando all’argomento inerente le linee guida ed eventuali codici di autoregolamentazione, qualora dovessimo anche noi, come Master, ipotizzare qualcosa di nuovo, secondo Lei, oltre che dall’Ordine dei Giornalisti, da quali categorie sarebbe opportuna la controfirma ? Forse proprio dal mondo medico ?


 


No, no. I medici hanno le loro regole, noi abbiamo le nostre. Le Carte vanno bene perché possono innescare un ampio dibattito, e quindi una presa di coscienza più ampia.


 


Non ci sono altre giustificazioni per giustificare la produzione di un nuovo documento ?


 


No, direi che il fatto di scatenare un dibattito sarebbe l’unica giustificazione.


 


Parliamo infine di salute legata ad eventi di Cronaca Nera. Come si deve comportare il giornalista quando medicina e Cronaca Nera vengono a sovrapporsi ?


 


C’è una regola che va al di là della Legge sulla Privacy: tutti coloro che sono protagonisti di un fatto pubblico o di interesse pubblico, perdono il diritto alla tutela della loro faccia. Quindi, se perdono il diritto alla tutela della loro immagine, si può parlare di loro. All’articolo 97 della Legge sul Diritto d’Autore si contempla l’eccezione rispetto all’articolo 10 del Codice Civile – che protegge rigidamente l’immagine del cittadino –. E’chiaro che quando si parli di una persona al centro di un fatto pubblico, cioè una sparatoria, una rapina o, comunque, un fatto di Cronaca Nera, la notizia viene pubblicata e si può dire qualcosa anche sulle condizioni delle persone coinvolte. Non si entra nel linguaggio medico – tecnico, ma si parla di maggiore o minore gravità.


 


L’aggressore viene molto tutelato (ad esempio non può essere pubblicata una fotografia che lo ritragga in manette).


Ma è anche giusto. E’un fatto di civiltà. Non fa parte della Legge sulla Privacy, ma è una Legge del 1994, ovvero la numero 492, che proibisce giustamente la pubblicazione di una persona in manette, perché, per prima cosa, vige il principio della non colpevolezza fino a sentenza definitiva (mentre quella immagine sarebbe degradante la dignità della persona). E’giusto che non venga pubblicata. La vergogna di quello che accadde con Tortora e con Carra non deve più accadere.


 


Però, anche pubblicare sulle prime pagine la fotografia della persona aggredita può essere forse poco edificante.


 


E’però un protagonista passivo della vicenda. Ma poi, dipende dalla vicenda. La cosa va vista caso per caso. Non si deve mai generalizzare.


 


 


Il Presidente Abruzzo ci ha consegnato alcuni articoli ospitati nel sito dell’Ordine dei Giornalisti.


 


INGIURIATA CON RIFERIMENTI ALL’AIDS: NON SI PUBBLICANO INFORMAZIONI SULL’IDENTITA’DELLA PERSONA OFFESA.


www.odg.mi.it/aids


 


MUCCA PAZZA: NON SI PUBBLICANO NOTIZIE SULLA RAGAZZA AMMALATA


www.odg.mi.it/rodota02


 


CASO DI BELLA: A PROPOSITO DI ETICA DELL’INFORMAZIONE


www.odg.mi.it/dibella


 


 


     





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