di Emilio Pozzi
"Scuole di giornalismo - Nella 'Nuova antologia' del 1 luglio 1928 è pubblicato con questo titolo un articolo di Ermanno Amicucci che forse in seguito è stato pubblicato in volume con altri. L'articolo è interessante per le informazioni e gli spunti che offre. E da rilevare tuttavia che in Italia la quistione è molto più complessa da risolvere di quanto non paia leggendo questo articolo ed è da credere che i risultati delle iniziative scolastiche non possono essere molto grandi (almeno per ciò che riguarda il giornalismo tecnicamente inteso; le scuole di giornalismo saranno scuole di propaganda politica generale)”.
Questa citazione è tratta da "Quaderni del carcere” di Antonio Gramsci e non lascia dubbi sul come il «prigioniero del regime fascista» nel campo della cultura e dell'informazione diffidi pregiudizialmente di ogni iniziativa di chi, nel 1925, ha ucciso la libertà di stampa. A questo punto, però, credo sia interessante, dal punto di vista dei giornalisti di oggi, leggere il seguito del saggio. Prosegue, intatti, Gramsci: "Il principio, però, che il giornalismo debba essere insegnato e che non sia razionale lasciare che il giornalista si formi da sé, casualmente, attraverso la 'praticaccia' è vitale e si andrà 'sempre più imponendo a mano a mano che il giornalismo anche in Italia, diventerà un'industria più complessa e un organismo civile più responsabile'.
Coloro che sostengono, ancora oggi, la populistica teoria dei "giornalisti da marciapiede" - intesi come semplici e incolti ricercatori di notizie - sono consigliati di soffermarsi su queste righe di Gramsci.
Continuiamo a leggere il suo testo che, è opportuno sottolinearlo, è scritto nel 1930. Dal carcere: "La quistione in Italia trova i suoi limiti nel fatto che non esistono grandi concentrazioni giornalistiche, per il decentramento della vita culturale nazionale. che i giornali sono molto pochi, e la massa dei lettori è scarsa".
Fermiamoci pure qui anche se le pagine dedicate da Gramsci ai problemi del giornalismo, toccando tutti i campi specifici, con acuta analisi da «addetto ai lavori», impossibilitato a esercitare, sono almeno 45.
L'originale contributo gramsciano è inserito negli studi sul ruolo degli intellettuali e l'attività culturale in Italia. Quanti hanno ironizzato sul termine di «intellettuale organico» - e le voci più stizzite, come prevedibile, appartengono ai voltagabbana - farebbero bene a riguardare quelle pagine. Quanto ai giornalisti possono limitarsi a quelle 45 pagine segnalate poco sopra. La serenità di giudizio è la virtù di chi non ha paura di esprimere le proprie idee, pagando di persona, pronto però a ragionare sulle opinioni degli avversari, purché logiche ed efficaci per ottenere un risultato positivo. In questo caso il modo per migliorare la qualità della professione.
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Voce “Giornale” della Treccani.
Amicucci illustra la svolta
universitaria della professione
sotto il regime di Mussolini.
“Modello americano”
e ricerca di modernità
di durata breve (1930-1933)
Il giornalista abruzzese Cesare Amicucci fu il grande regista della stampa del regime fascista, segretario del “Sindacato unico fascista dei giornalisti” dal 1927 al 1932, poi direttore della “Gazzetta del Popolo” e infine del “Corriere della Sera” nel periodo 1943/1945. Amicucci fu nel 1926 il promotore del primo contratto di lavoro giornalistico riconosciuto giuridicamente, dell’Inpgi, di un ufficio di collocamento per i giornalisti disoccupati, del Rd 384/1928 sull’Albo dei giornalisti e, nel 1929, anche della Scuola fascista di giornalismo. “Con la scuola – scrive Eugenio Gallavotti in “La Scuola fascista di Giornalismo”, Sugar Edizioni 1982 - il sindacato di Amicucci intendeva completare l’irregimentazione dei giornalisti attraverso uno degli strumenti più congeniali al regime: l’educazione”. Amicucci nel 1926 aveva visitato la celebre scuola di giornalismo della Columbia University di New York, fondata nel 1903 da Joseph Pulitzer, e ne era rimasto affascinato. Amicucci ha compilato la voce “Giornale” dell’Enciclopedia Treccani (XVII volume), dove parla della “Scuola professionale di giornalismo” (voluta dal Sindacato e figlia del rd 2291/1929) e inaugurata nel gennaio 1930 a Roma (Piazza Colonna 366) da Bruno Bottai (ministro delle Corporazioni fino al 1932 e poi dell’Educazione nazionale, inventore nel 1926 dello Stato corporativo e leader, con Edmondo Rossoni, del “fascismo movimento” componente di sinistra del regime). Pubblichiamo l’ultima parte del saggio.
di Ermanno Amicucci
In Italia il primo passo verso un'istituzione giornalistica fu compiuto nel 1928, per interessamento dello stesso Sindacato nazionale dei giornalisti, con l'istituzione di una cattedra di “Storia del giornalismo” e di “Legislazione sulla stampa, interna e comparata” alla facoltà fascista di Scienze politiche presso 1' università di Perugia. Seguì l'istituzione di corsi speciali all'Università di Ferrara, all'Università cattolica di Milano e all'Università di Trieste. Nel gennaio del 1930 fu inaugurata a Roma la Scuola di giornalismo, fondata dal Sindacato nazionale fascista dei giornalisti e con l'interessamento dei ministeri delle Corporazioni e dell'Educazione nazionale. La scuola comprende un corso biennale d'insegnamento, superato il quale gli studenti ricevono un diploma che, esistendo anche gli altri requisiti prescritti dal regolamento per 1'albo professionale (regio decreto 26 febbraio 1928, n. 384), in virtù del regio decreto 21 novembre 1929 n. 2291, darà loro il diritto di essere iscritti nel ruolo dei giornalisti, senza i 18 mesi di pratica redazionale. Inoltre, gli studenti della Facoltà di Scienze politiche dell'università di Perugia, che vogliano conseguire la laurea “con indirizzo giornalistico”, devono frequentare per due anni, nei mesi di marzo, aprile,e maggio, le esercitazioni pratiche della Scuola di giornalismo di Roma, ottenendone un certificato di compiuto tirocinio. Con questo avranno la laurea che li abilita all'iscrizione nell'albo dei giornalisti e quindi all'esercizio della professione.
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Achille Starace (segretario
del Pnf) premuto dagli
editori e dai giornalisti
napoletani chiude la
Scuola. E’ il 23 giugno 1933
Dalla scuola di Roma sono usciti giornalisti di prestigio come Vittorio Gorresio, Mario Pannunzio e Ugo Indrio. L’iniziativa, però, non era piaciuta agli editori, che dal 1932 erano obbligati dal contratto (l’ultimo firmato da Amicucci) ad assumere giornalisti professionisti e, quindi, anche gli allievi della Scuola di Roma e i laureati in Scienze politiche a indirizzo giornalistico di Perugia. Gli editori – che volevano riprendersi l’arbitrio di fare i giornalisti a prescindere dai titoli di studio - trovano ascolto in Achille Starace neosegretario del Pnf dal 1931. L’occasione per concludere la partita, come racconta Gallavotti, fu offerta ai primi del 1933 da Arturo Assante, segretario del
sindacato napoletano dei giornalisti e poi direttore del “Mattino”, che bolla la Scuola come “inadeguata”. Il segretario del Sindacato unico fascista dei giornalisti, Aldo Valori, decide di chiudere la Scuola “dopo la constatazione dell’impossibilità di provvedere ai mezzi finanziari occorrenti”. Starace è d’accordo e fissa la data della chiusura nel 23 giugno 1933. Il duce, giornalista che viene dalla gavetta, tace e acconsente. Amicucci e Bottai sono i grandi sconfitti. Mussolini ha compiuto l’ultima capriola, mettendo a tacere la sinistra del partito. Lo stesso Stato corporativo sopravvive a se stesso. Ugo Spirito, ideatore della “corporazione proprietaria”, viene tacciato di comunismo. Mussolini poi riprenderà questo discorso nel 1943/1945 con la Rsi, ma ormai alla “socializzazione dei mezzi di produzione” non crede nessuno. E’ propaganda. Solo Amicucci, come direttore del “Corriere della Sera”, crede nella svolta della “Carta di Verona” del 1943. Il giornalista, nel 1945, è condannato a morte, ma la Cassazione commutò la condanna in 30 anni di carcere. Uscirà dal carcere nel 1947 a seguito della legge sull’amnistia voluta dal Guardasigilli Palmiro Togliatti (segretario del Pci).