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Tabloid n. 1/2004 - La sentenza (n. 353, depositata il 12 dicembre 2003) della Corte costituzionale chiarisce i confini del nuovo Titolo V della Costituzione
“Professioni, decide solo lo Stato”. (Giornalisti vicini alla laurea).
Siliquini: gli esami di Stato alla riforma-bis entro maggio


di Franco Abruzzo

Le Regioni non possono istituire nuove professioni. Questo è l’assunto centrale della sentenza n. 353 (depositata il 12 dicembre 2003) della Corte costituzionale, che ha abrogato (in quanto “illegittima”) una legge piemontese istitutiva di figure sanitarie. La sentenza chiarisce l’ambito delle competenze concorrenti tra Stato e Regioni e afferma che la materia delle professioni, con i relativi profili ed ordinamenti didattici, appartiene soltanto allo Stato.  La Consulta scrive: “…non pare quindi dubbio che, anche oggi, la potestà legislativa regionale in materia di professioni sanitarie debba rispettare il principio, già vigente nella legislazione statale, secondo cui l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili ed ordinamenti didattici, debba essere riservata allo Stato….la legge della Regione Piemonte n. 25 del 2002 …. viene soprattutto ad incidere su aspetti essenziali della disciplina degli operatori sanitari senza appunto rispettare, in violazione dell’art. 117, terzo comma della Costituzione, il principio fondamentale che riserva allo Stato la individuazione e definizione delle varie figure professionali  sanitarie”.


Il principio affermato dalla Consulta non è nuovo. Nella sentenza n. 38/1997, la Corte aveva, infatti, affermato che “rientra nella discrezionalità del legislatore ordinario determinare le professioni intellettuali per l'esercizio delle quali è opportuna l'istituzione di ordini o collegi e la necessaria iscrizione in appositi albi o elenchi ( art. 2229 cod. civ.)”. L’importanza  della nuova pronuncia è tutta nelle date: la sentenza del 12 dicembre 2003 è  la prima dopo la riforma (legge costituzionale. 18 ottobre 2001 n. 3) del Titolo V, che al terzo comma dell’articolo 117 afferma: “Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”. Una sentenza della Corte costituzionale (la n. 271 del 22 luglio 1996), in tema di principi fondamentali, afferma che “nella materia di competenza concorrente, i principi fondamentali risultanti dalla legislazione statale esistente, assolvono alla funzione  loro propria, che è quella di unificare  il sistema delle autonomie ai livelli più alti, solo quando hanno il carattere di stabilità e univocità”. La sentenza n. 353/2003 ribadisce sul punto che “i relativi principi fondamentali, non essendone stati, fino ad ora, formulati dei nuovi, sono pertanto da considerare quelli, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. sentenze n. 201 del 2003 e n. 282 del 2002), risultanti dalla legislazione statale già in vigore”.


L’assetto attuale delle professioni. Il Dlgs n. 300/1999 affida al Ministero della Giustizia la vigilanza sugli Ordini professionali e al Ministero dell’Istruzione/Università la “missione” di formare i nuovi professionisti. Il comma 18 dell’articolo 1 della legge n. 4/1999  conferisce al ministero dell’Istruzione/Università, di concerto con quello della Giustizia, il compito di “integrare e modificare” con regolamento gli attuali ordinamenti sull’accesso alla professioni e di raccordarli con le lauree triennali e con le lauree specialistiche biennali. Il regolamento (Dpr n. 328/2001)  disciplina la maggioranza delle professioni intellettuali (dottore agronomo e dottore forestale, agrotecnico, architetto, assistente sociale, attuario, biologo, chimico, geologo, geometra, ingegnere, perito agrario, perito industriale, psicologo) e trascura quelle dei giornalisti, degli statistici e dei consulenti del lavoro. Con parere 7 maggio 2002 n. 2228 il  Consiglio di Stato ha scritto che  "non sussistono motivi ostativi alla riforma dell'ordinamento professionale dei giornalisti, come previsto dall'articolo 1 (comma 18) della legge n. 4/1999".


L’Ordine di Milano pronto a disapplicare la normativa italiana sull’accesso a favore di quella comunitaria che prevede il possesso di una laurea minima triennale. Dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, si è ritenuto (erroneamente) che lo Stato avesse perso i suoi poteri regolamentari e che non potesse, quindi, riscrivere il Dpr n. 328/2001, allargandolo ai giornalisti, agli statistici e ai consulenti del lavoro. Si può affermare, con Vincenzo  Caianiello, che “tutto ciò che attiene allo status del professionista e delle libere professioni è riconducibile all’articolo 33 della Costituzione, il quale parla di esame di Stato” (Vincenzo  Caianiello, ”L’inserimento delle professioni nel titolo V della Costituzione” in Atti del Convegno nazionale “Quale federalismo per le professioni” del 18 marzo 2002 in Codroipo-Ud).


Il Ministero dell’Istruzione-Università nell’ottobre scorso ha rimeditato la questione del collegamento tra laurea universitaria, praticantato giornalistico ed esame di Stato. Il Ministro Letizia Moratti ha dato disco verde alle modifiche del Dpr n. 328/2001, istituendo una commissione ad hoc guidata dal sottosegretario di Stato Maria Grazia Siliquini. Conseguentemente il Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia ha bloccato una delibera con la quale lo stesso Consiglio, quale autorità amministrativa, avrebbe disapplicato (in forza delle sentenze  n. causa 103/1988 della Corte di Giustizia Ce 22 luglio 1989 e n. 389/1989 della Corte costituzionale) l’articolo 33 (commi 4, 5, 6  e 7) della legge n. 69/1963, affermando la prevalenza (in base alla sentenza n. 389/1989 della Corte costituzionale) sulla norma interna della Direttiva n. 89/48/CEE. Questa direttiva, in base alla sentenza della quarta sezione della Corte di Giustizia europea nella causa C- 285/00, si applica “alle professioni regolamentate, cioè a quelle per le  quali l’accesso o l’esercizio sono subordinati, direttamente o indirettamente, mediante disposizioni legislative, regolamentari o amministrative,  al possesso di un diploma universitario della durata minima di tre anni”.

Sono mutati i requisiti culturali per l’esercizio di una professione nell’ambito dei Paesi Ue e, quindi, i giornalisti professionisti italiani non possono essere discriminati rispetto agli altri professionisti italiani e a quelli europei sotto il profilo della preparazione universitaria minima di tre anni, principio al quale devono attenersi anche alcune professioni un tempo  collegate a un diploma di scuola media superiore (geometri, ragionieri, periti agrari e periti industriali).

Con l’iniziativa del ministro Moratti e del sottosegretario Siliquini, è prevedibile che nel giro di 4-6 mesi l’accesso al praticantato giornalistico e all’esame di Stato sia vincolato esclusivamente al possesso di una laurea (qualsiasi) conseguita al termine di un percorso minimo di tre anni. La pratica (di durata biennale) potrà essere svolta  nelle redazioni (di quotidiani, periodici, agenzie di stampa, telegiornali, radiogiornali, testate web); nelle scuole di giornalismo, nei master universitari e nei corsi di laurea in giornalismo (riconosciuti dall’Ordine). La modifica del Dpr n. 328/2001 presuppone una prima approvazione del testo da parte del Consiglio dei Ministro, l’acquisizione successiva di tre pareri (tra i quali quello del Consiglio di Stato) e, quindi, una seconda approvazione da parte del Consiglio dei Ministri. Segue la pubblicazione del Dpr nella Gazzetta Ufficiale. Un Dpr, che, comunque, fotografa una situazione esistente:  già oggi 8 praticanti su 10 sono laureati.

 SENTENZA N. 353 - ANNO 2003

 


REPUBBLICA ITALIANA


 


IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 


composta dai signori:


 


- Riccardo CHIEPPA Presidente


 


- Valerio ONIDA Giudice


 


- Carlo MEZZANOTTE "


 


- Fernanda CONTRI "


 


- Guido NEPPI MODONA "


 


- Piero Alberto CAPOTOSTI "


 


- Annibale MARINI "


 


- Franco BILE "


 


- Giovanni Maria FLICK "


 


- Francesco AMIRANTE "


 


- Ugo DE SIERVO "


 


- Romano VACCARELLA "


 


- Paolo MADDALENA "


 


- Alfio FINOCCHIARO "


 


ha pronunciato la seguente SENTENZA


nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Piemonte 24 ottobre 2002, n. 25 (Regolamentazione delle pratiche terapeutiche e delle discipline non convenzionali), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 30 dicembre 2002, depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2003 ed iscritto al n. 2 del registro ricorsi 2003.


 


Visto l’atto di costituzione della Regione Piemonte;


 


udito nell’udienza pubblica del 14 ottobre 2003 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti;


 


uditi l’avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Enrico Romanelli per la Regione Piemonte.


 


Ritenuto in fatto


 


1. — Il Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 30 dicembre 2002, depositato il 9 gennaio 2003, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Piemonte 24 ottobre 2002, n. 25 (Regolamentazione delle pratiche terapeutiche e delle discipline non convenzionali), in riferimento all’art. 117, primo e terzo comma, della Costituzione.


 


2. — Il ricorrente premette che la legge regionale impugnata reca la regolamentazione delle pratiche terapeutiche e delle discipline non convenzionali -quali la "agopuntura", la "fitoterapia", la "omeopatia", la "omotossicologia" e le altre pratiche omologhe indicate nell'art. 2, comma 1- che espressamente riconosce, al dichiarato scopo di favorire la libertà di scelta del paziente, nell'ottica del pluralismo scientifico.


 


La difesa erariale, anche nella memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica, sostiene che le norme impugnate, poiché attengono all’esercizio di professioni sanitarie secondo metodi e mezzi non convenzionali, sarebbero riconducibili alla competenza legislativa di tipo concorrente, nel cui esercizio la Regione, ex art. 117 Cost., deve osservare sia i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario (primo comma), sia i principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato (terzo comma) che, nella specie, risulterebbero entrambi violati.


 


Secondo il ricorrente, sarebbe anzitutto illegittimo il riconoscimento "regionale" di professioni aventi ad oggetto l'esercizio di pratiche terapeutiche "non convenzionali" non ancora istituite dalle norme statali, alle quali è riservata la formulazione dei principi generali nella materia. Infatti, la regione non potrebbe emanare norme aventi ad oggetto la disciplina, attraverso l'istituzione d'un registro, o albo, e la regolamentazione dei requisiti per la relativa iscrizione, di figure di operatori professionali non ancora individuate dal legislatore statale. L'art. 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e l'art. 1, comma 2, della legge 26 febbraio 1999, n. 42, hanno infatti riservato allo Stato l’individuazione delle figure professionali in oggetto –quindi, degli operatori di pratiche terapeutiche "non convenzionali"- e hanno enunciato nella materia della "sanità" un principio fondamentale, da ritenersi vigente anche successivamente alla novellazione del Titolo V della Costituzione realizzata dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.


 


La legge impugnata si porrebbe altresì in contrasto con i "vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario" in materia di diritto di stabilimento e di libera prestazione di servizi. Le direttive comunitarie aventi ad oggetto la libera circolazione dei professionisti riguardano infatti anche il riconoscimento dei titoli di abilitazione conseguiti in uno Stato membro ai fini dell'esercizio della attività professionale in un altro Stato, tenuto a garantirne l’osservanza su tutto il proprio territorio. Senonché, la legge impugnata, da un canto, determina l’operatività del principio derivante dalle norme comunitarie in riferimento alle nuove figure professionali, dall’altro, inevitabilmente limita ad una parte del territorio nazionale l’esercizio del diritto alla libera circolazione, realizzando in tal modo una discriminazione "tra cittadini residenti e cittadini provenienti da un altro Stato membro".


 


3. — Nel giudizio si è costituita la Regione Piemonte, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.


 


Secondo la resistente, sarebbe notorio che sono ampiamente diffuse le cc.dd. "terapie non convenzionali", praticate in Europa da un numero sempre più ampio di pazienti, al punto che il Parlamento europeo, nel 1997 ha approvato una risoluzione con la quale affermava la necessità di tutelare la libertà degli utenti nella scelta delle terapie, garantendo allo stesso tempo la sicurezza e la correttezza dell’informazione in ordine alla loro innocuità. Anche in Italia, benché la materia non sia stata disciplinata, è stata prevista una aliquota IVA ridotta per i medicinali omeopatici ed il d.P.C.m. 29 novembre 2001, recante direttive in ordine ai livelli essenziali di assistenza, fa riferimento alle medicine non convenzionali; la Federazione nazionale dell’Ordine dei medici, in un documento del 18 maggio 2002, ha inoltre identificato nove discipline che riconduce alla pratica professionale medica (agopuntura; fitoterapia; medicina tradizionale cinese; ayurveda; osteopatia e chiropratica), mentre alcune Regioni hanno anche inserito nei piani sanitari regionali la realizzazione di programmi di sperimentazione estesi alle medicine non convenzionali, ricondotte nel novero delle prestazioni erogabili dal servizio sanitario nazionale.


 


La legge impugnata mirerebbe a garantire chiarezza e trasparenza di queste attività, tutte concretamente e legalmente già esercitate, anche allo scopo di assicurare una corretta informazione. La realizzazione di questa finalità sarebbe garantita dall’istituzione di una Commissione alla quale sono stati attribuiti compiti di informazione, studio e verifica del possesso dei requisiti da parte di coloro che chiedono di essere iscritti nel registro regionale degli operatori di pratiche terapeutiche e di discipline non convenzionali.


 


Secondo la Regione, le norme impugnate non istituirebbero affatto un albo professionale, ma disciplinerebbero "uno strumento assolutamente non vincolante per gli esercenti le professioni considerate", che non sostituisce, né elimina e neppure limita i titoli di abilitazione professionale e lo svolgimento dell’attività, secondo le norme vigenti.


 


4. — All’udienza pubblica le parti hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni rassegnate nelle difese scritte.


 

Considerato in diritto

 


1. — Il giudizio in via principale, promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso in epigrafe nei confronti della Regione Piemonte, ha ad oggetto la legge regionale 24 ottobre 2002, n. 25 (Regolamentazione delle pratiche terapeutiche e delle discipline non convenzionali) in riferimento all’art. 117, primo e terzo comma, della Costituzione.


 


Secondo la ricorrente Avvocatura erariale, il riconoscimento "regionale" di professioni aventi ad oggetto l’esercizio di pratiche terapeutiche "non convenzionali", non ancora previste ed istituite dalle norme statali, eccederebbe la competenza della Regione, così come violerebbe i limiti della competenza regionale previsti dall’art. 117, terzo comma, della Costituzione, dal momento che sarebbe riservata alla legislazione dello Stato la formulazione dei principi fondamentali attinenti all’individuazione, nell’ambito della materia "sanità", delle figure professionali di operatori di pratiche terapeutiche "non convenzionali". Sarebbero inoltre, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, violati anche i "vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario" in tema di libera circolazione dei professionisti e di riconoscimento dei titoli di abilitazione conseguiti in uno Stato membro, poiché le direttive comunitarie in materia non consentirebbero che l’istituzione di nuove figure professionali non sia garantita in tutto il territorio statale, realizzandosi altrimenti "trattamenti discriminatori tra cittadini residenti e cittadini provenienti da un altro Stato membro".


 


2. — La questione è fondata.


 


La legge impugnata 24 ottobre 2002, n. 25, della Regione Piemonte regolamenta le "pratiche terapeutiche e le discipline non convenzionali", prevedendo, tra l’altro, l’istituzione "nell’ottica del pluralismo scientifico e della libertà di scelta da parte del paziente" di un registro per le pratiche terapeutiche e per le discipline non convenzionali (art. 1), nonché la costituzione di una Commissione permanente presso l’Assessorato regionale alla sanità (art. 3), con compiti, in particolare, di definizione dei requisiti minimi per il riconoscimento degli istituti deputati alla formazione degli operatori, di verifica del possesso, a seguito del superamento di apposita prova teorico-pratica, dei requisiti occorrenti alla iscrizione in un apposito registro regionale (art. 4), ed altresì di verifica, nel periodo transitorio, di idoneità degli operatori, già esercenti sul territorio regionale tali pratiche non convenzionali, ai fini dell’iscrizione in tale registro (art. 7).


 


I contenuti precipui della legge, che si focalizzano sui requisiti dei nuovi operatori, in correlazione con le argomentazioni prospettate nel ricorso inducono a ritenere che l’oggetto della questione di legittimità costituzionale in esame vada ricondotto essenzialmente alla materia delle professioni sanitarie. A questo proposito, segnalando che già il r.d. 27 luglio 1934, n. 1265, assoggettava a vigilanza statale, tra l’altro, l’esercizio delle professioni sanitarie e delle "arti ausiliarie delle professioni sanitarie", stabilendo l’obbligo del conseguimento del rispettivo titolo di abilitazione professionale, va ricordato che dopo l’entrata in vigore della Costituzione la disciplina delle funzioni relative all’esercizio delle professioni sanitarie e delle relative professioni ed arti ausiliarie è stata riservata, ai sensi dell’art. 117, nell’ambito della materia "assistenza sanitaria", alla competenza statale, anziché a quella regionale (cfr. sentenza n. 82 del 1997), da una serie di atti legislativi, tra cui: il d. P.R. 14 gennaio 1972, n. 4, il d. P.R. 24 luglio 1977, n. 616, la legge 23 dicembre 1978, n. 833, il d. lgs. 31 marzo 1998, n. 112.


 


In particolare, il d. lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, all’art. 6, comma 3, riservando alla competenza statale il relativo potere, ha disposto che le figure professionali da formare ed i connessi profili, nonché i rispettivi ordinamenti didattici fossero definiti da apposite disposizioni, secondo un principio che è stato poi confermato dall’art. 124, comma 1, lettera b), del citato d. lgs. n. 112 del 1998, nonché dall’art. 1, comma 2, della legge 26 febbraio 1999, n. 42, il quale ha stabilito che "il campo proprio di attività e di responsabilità delle professioni sanitarie" è determinabile in base alle specifiche norme istitutive dei relativi profili professionali e degli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario. Infine, la legge 10 agosto 2000, n. 251, ha incluso le diverse figure professionali sanitarie, di cui al citato art. 6, comma 3, del d. lgs. n. 502 del 1992, e successive modificazioni, in distinte fattispecie qualificatorie.


 


A seguito dell’entrata in vigore del nuovo Titolo V della Costituzione, la disciplina de qua è da ricondurre, come già detto, nell’ambito della competenza concorrente in materia di "professioni", di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione. I relativi principi fondamentali, non essendone stati, fino ad ora, formulati dei nuovi, sono pertanto da considerare quelli, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. sentenze n. 201 del 2003 e n. 282 del 2002), risultanti dalla legislazione statale già in vigore.


 


Non pare quindi dubbio che, anche oggi, la potestà legislativa regionale in materia di professioni sanitarie debba rispettare il principio, già vigente nella legislazione statale, secondo cui l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili ed ordinamenti didattici, debba essere riservata allo Stato. Né si può dire che trattandosi di nuove pratiche terapeutiche e di discipline non convenzionali quel principio non trovi applicazione, ed infatti la legge della Regione Piemonte n. 25 del 2002 – istituendo, tra l’altro, un registro dedicato sia agli operatori medici sia a quelli non medici, prevedendo percorsi formativi di durata pluriennale, nonché il rilascio di titoli professionali- viene soprattutto ad incidere su aspetti essenziali della disciplina degli operatori sanitari senza appunto rispettare, in violazione dell’art. 117, terzo comma della Costituzione, il principio fondamentale che riserva allo Stato la individuazione e definizione delle varie figure professionali sanitarie.


 


Sotto questo profilo è pertanto costituzionalmente illegittima l’impugnata legge della Regione Piemonte 24 ottobre 2002, n. 25, restando assorbiti gli ulteriori profili di censura.


 


PER QUESTI MOTIVI


 


LA CORTE COSTITUZIONALE


 


dichiara l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Piemonte 24 ottobre 2002, n. 25 (Regolamentazione delle pratiche terapeutiche e delle discipline non convenzionali).


 


Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 novembre 2003.


 Riccardo CHIEPPA, Presidente


 Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore


 Depositata in Cancelleria il 12 dicembre 2003.


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Professioni – Parla il sottosegretario all’Università. Il Dpr 328/2001 verrà allargato a giornalisti, tecnologi alimentari, informatici e consulenti del lavoro 

Siliquini: gli  esami di Stato


alla riforma-bis entro maggio


 


Entro aprile sarà definita la riforma bis degli esami di Stato per le professioni. Lo assicura il sottosegretario all'Istruzione, Maria Grazia Siliquini, che con l'aiuto di una commissione di "saggi" - rappresentanti delle professioni, professori universitari e dirigenti del ministero - sta lavorando alla modifica del Dpr 328/2001 (che verrà allargato a giornalisti, tecnologi alimentari, informatici e consulenti del lavoro, ndr).


Il provvedimento, che ha raccordato i requisiti per l'accesso agli Albi ai nuovi titoli universitari, è caratterizzato da <lacune e incongruenze>, secondo Siliquini. E dunque, in collaborazione con le professioni e con le componenti universitarie, verranno rivisti titoli, modalità dei tirocini, contenuti delle prove e composizione delle commissioni.


Inoltre, verranno disciplinati i percorsi universitari per l'accesso alle professioni di giornalista, consulente del lavoro e statistico che non sono state ricomprese nel Dpr 328/2001. Il processo di modifica del Dpr 328 non dovrebbe invece riguardare avvocati e notai, anche se il loro curriculum è ancorato alle vecchie lauree in via di superamento con la riforma dell'autonomia universitaria.


Gli esperti chiamati dal sottosegretario Siliquini sono: Dina Porazzini (presidente del Consiglio nazionale dei dottori agronomi e forestali), Mariano Magnabosco (periti industriali), Walter Gerbino (professore di psicologia a Trieste), Andrea Stella (facoltà di ingegneria di Udine), Teresa Cuomo, Assunta Cioffi, Grazia Corbello (ministero dell'Istruzione), Fabrizio Hinna Danesi (per anni responsabile dell'ufficio Libere professioni della Giustizia), Andrea de Leitenburg ed Emilio Panceri (collaboratori del sottosegretario).


L'intervento del ministero dell'Istruzione ha dovuto fare i conti con la riforma del federalismo (legge costituzionale 3/2001), che ha ricondotto le professioni tra le materie a legislazione concorrente, cancellando la potestà regolamentare dello Stato. .


Invece, ogni intervento è rimandato per quanto riguarda le competenze e i titoli professionali. .


Dunque, l'obiettivo è puntato sui requisiti e sulle modalità delle prove di abilitazione. . I commissari, insieme con il sottosegretario, ascolteranno i presidenti dei Consigli nazionali. Si inizierà tra una quindicina di giorni con dottori agronomi e architetti.


Le proposte delle professioni costituiranno le tessere del decreto correttivo, che verrà trasmesso agli Ordini e ai presidi di facoltà per le osservazioni. Quindi il provvedimento dovrà passare al vaglio del Cun e del Consiglio nazionale degli studenti e acquisire il concerto del ministero della Giustizia. L'iter prevede quindi l'esame del Consiglio dei ministri, del Consiglio di Stato e il sì definitivo del Governo.


(Il Sole 24 Ore del 16 gennaio 2004, M.C.D.)


 


 


 


 


 


 


 


  


 


 


 


 


 



 


 





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