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Il sabato del Villaggio/Ma possiamo fare a meno dei giornalisti? Una società democratica non può rinunciare al giornalismo professionale, anche se a molti editori più o meno "impuri" e a molti politici, vecchi e nuovi, farebbe comodo abolire la categoria dei giornalisti.

di Giovanni Valentini/ilfattoquotidiano


18.2.2017 - "Purtroppo noi giornalisti eravamo necessari all'editore, ma lui ne avrebbe fatto volentieri a meno" (da "La Repubblica di Barbapapà" di Giampaolo Pansa - Rizzoli, 2013 - pag. 32) Quando Beppe Grillo arriva a parlare di "stampa-killer", nel fuoco incrociato delle polemiche sul "caso Raggi", allude in realtà a tre giornali - e cioè Repubblica, Corriere della Sera e Messaggero - su un totale di una ventina di quotidiani a diffusione nazionale e una quarantina di testate a diffusione regionale e provinciale. E quando Luigi Di Maio presenta un esposto all'Ordine dei giornalisti, appellandosi alla deontologia e all'etica professionale in merito alle stesse vicende, denuncia appena una decina di iscritti su un totale di oltre 110 mila. Un esercito, una corporazione, a cui appartiene in media un italiano ogni 550 cittadini.
Siamo, insomma, "il Paese dei giornalisti". A parte la pletora da cui andrebbero espulsi innanzitutto i politici che usurpano il titolo professionale, già dal confronto tra queste cifre appare chiaro ed evidente che qualsiasi generalizzazione rischia di risultare impropria e inadeguata. È lecito, allora, citare le testate "incriminate", fare nomi e cognomi dei colleghi sotto accusa, salvo poi verificare i torti e le ragioni di ciascuno, caso per caso. Ma non conviene a nessuno criminalizzare un'intera categoria, delegittimarne la funzione e screditarne l'immagine collettiva.
Rendiamo omaggio, quindi, al "milite ignoto" delle nostre redazioni: ai tanti cronisti, redattori, grafici che non scrivono o non firmano mai un articolo; non compaiono in prima pagina; e dalla mattina alla notte, lavorano dietro una scrivania e davanti a un computer, per "passare" i pezzi altrui, titolarli e impaginarli, come onesti impiegati delle notizie. Non viaggiano, non vanno in tv, vivono nell' anonimato. Eppure, senza il loro contributo - per quanto umile e discreto possa essere - i giornali non uscirebbero e le "grandi firme" rimarrebbero relegate sul retro delle cartoline illustrate o magari in calce agli assegni.
Si può fare a meno, dunque, dei giornalisti? Nell' epoca del citizen journalism, del giornalismo "circolare" o "diffuso", la domanda è legittima e attuale. E del resto, non c'è ormai la Rete? Non ci sono i social network e le chat? Non circolano già le fake news, le false notizie altrimenti dette "bufale"?
No, non possiamo fare a meno dei giornali - di carta, elettronici o digitali - con il corredo della loro tempestività, continuità, attendibilità e magari autorevolezza. Né possiamo fare a meno dei giornalisti professionisti. Quelli che onorano il loro mestiere mettendosi al servizio dei lettori. Quelli che non si accontentano delle "veline", delle versioni ufficiali o delle mezze verità. Quelli che verificano le notizie e incrociano le fonti. Quelli che, quando sbagliano, riconoscono i propri errori e magari chiedono scusa.
Una società democratica non può rinunciare al giornalismo professionale, anche se a molti editori più o meno "impuri" e a molti politici, vecchi e nuovi, farebbe comodo abolire la categoria dei giornalisti. Cioè abrogare il pluralismo dell'informazione, le opinioni, le critiche, le rivelazioni, le domande scomode e indiscrete. Per la stampa, nonostante tutti i suoi limiti e i suoi difetti, può valere l' aforisma coniato per la libertà: si apprezza quando non c' è più.













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