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"Essere un giornalista in Turchia vuol dire essere un detenuto, un sospettato o un disoccupato". Così Can Dundar, direttore del quotidiano turco Cumhuriyet, spiega la situazione dei media in Turchia. "In futuro ci sarà una stampa turca in esilio", spiega il giornalista in un'intervista al 'Guardian'. "La Turchia - dice - non è mai stata un paradiso per i giornalisti, ma non era neanche un inferno come è ora. Oggi essere giornalista è più pericoloso che mai e richiede molto coraggio".


Ankara, 2 maggio 2016.  "Essere un giornalista in Turchia vuol dire essere un detenuto, un sospettato o un disoccupato". Così Can Dundar, direttore del quotidiano turco Cumhuriyet, spiega la situazione dei media in Turchia, alla vigilia della Giornata mondiale per la libertà di stampa. Insieme al suo caporedattore di Ankara, Erdem Gul, Dundar rischia l'ergastolo per spionaggio e terrorismo, per aver rivelato la vicenda di un camion dell'intelligence carico di armi e diretto verso la Siria. Ed è già stato condannato a una pesante ammenda per insulto al presidente Recep Tayyip Erdogan, a suo figlio e ad altre sette persone, per alcuni articoli su una vicenda di corruzione. "In futuro ci sarà una stampa turca in esilio", spiega il giornalista in un'intervista al 'Guardian'. "La Turchia - dice - non è mai stata un paradiso per i giornalisti, ma non era neanche un inferno come è ora. Oggi essere giornalista è più pericoloso che mai e richiede molto coraggio". Dundar denuncia una vera e propria "caccia alle streghe come nel maccartismo degli anni Cinquanta negli Usa". Sono decine i giornalisti a processo in Turchia, molti reporter curdi hanno denunciato di essere stati percossi o arrestati arbitrariamente nel sud-est del paese, diversi giornalisti stranieri - gli ultimi il tedesco Volker Schwenck e l'americano David Lepeska - sono stati espulsi non appena hanno toccato il suolo turco, molti giornali critici nei confronti del governo e di Erdogan sono stati chiusi o messi sotto amministrazione controllata.  Le ultime testate commissariate sono quelle deigruppi Koza Ipek e Feza, legati al potente imam Fethullah Gulen, un tempo sostenitore di Erdogan, poi diventato suo acerrimo nemico. Gulen è accusato di essere a capo di un'organizzazione sovversiva che vuole prendere il controllo del paese. Ma secondo Dundar e molti altri giornalisti di opposizione, la 'caccià ai seguaci dell'imam sta diventando una scusa per zittire tutte le voci critiche, anche quelle del tutto laiche, come Cumhuriyet. Levent Kenez, ex giornalista di Zaman e oggi direttore di uno degli ultimi quotidiani gulenisti, Meydan, racconta che la tiratura del suo giornale è precipitata da 100.000 a 40.000 copie, dopo che il distributore - a suo dire sotto pressioni governative - ha deciso di  recedere dal contratto. E anche gli inserzionisti, sotto le stesse pressioni, man mano vengono meno. "Mi sveglio ogni mattina - spiega Kenez - pensando che grazie a Dio non ci hanno ancora chiusi e ogni sera penso che, grazie a Dio, siamoriusciti a uscire con un'altra copia. Questo è lo spirito con cui lavoriamo". Secondo Dundar la situazione dei media è legata al ruolo che Erdogan pretende di svolgere in patria e all'estero. "Vuole essere un sultano - afferma - non solo per Turchia, ma per tutta la regione, e per questo vuole fermare ogni forma di critica".  "Fa parte di una battaglia politica - continua Dundar - per fermare ogni punto di vista critico. Non riguarda solo la stampa, ma anche la tv, gli artisti e gli accademici. Erdogan odia le critiche e il risultato è che le carceri turche sono piene". A marzo, erano 1.845 i processi in corso per "insulto al presidente Erdogan",mentre centinaia di accademici sono sotto processo per aver firmato una petizione che chiede la fine dell'offensiva militare contro i curdi nel sud-est. I giornalisti dei media filo-governativi negano che sia in corso una campagna contro la stampa. Ibrahim Altay, del quotidiano Sabah, sostiene che "i gulenisti volevano mettere la mani su tutto e organizzavano complotti per raggiungere il loro obiettivo". Meryem Atlas, editorialista dello stesso quotidiano, ammette che c'è ancora tanto da fare per la libertà di stampa in Turchia, ma il quadro dipinto all'estero è esagerato e la situazione è molto migliorata rispetto al periodo dei golpe militari.Ma secondo il World Press Freedom Index pubblicato nei giorni scorsida Reporters Without Borders, la Turchia è al 151esimo posto al mondo, su un totale di 180. Per questa situazione, Dundar e molti giornalisti di opposizione puntano il dito anche contro la comunità internazionale. Accusano l'Unione europea, ad esempio, di aver chiuso un'occhio di fronte alla violazione di libertà fondamentali per non mettere a rischio l'accordo sulla gestione dei flussi migratori, firmato con Ankara a marzo. (AdnKronos/Aki)





 





 





 





 





 





 





 





 





 





 





 






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