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Che offesa alla memoria il Grand Hotel Gramsci

di Vittorio Emiliani
“Unità”, 11 aprile 2014


Il nome di Antonio Gramsci evoca sentimenti di ammirazione, di affetto riconoscente per quanto ha fatto e scritto per noi, e di dolore acuto per quel decennio di carcerazione che dovette patire per mano fascista. Detenuto, di fatto, sino alla morte, avvenuta il 21 aprile 1937, nonostante la prima emottisi risalisse al 1931 e al 1933 il primo attacco di arteriosclerosi. E con tutto ciò capace di scrivere libri  tuttora fondamentali di riflessione storica e politica. Ora, la notizia che a questo martire dell’antifascismo verrà intitolato un Grand Hotel a Torino non può non suscitare contrarietà, insofferenza, opposizione senza equivoci. Proprio nel palazzo dove il giovane leader socialista e poi comunista abitò e dove creò nel dopoguerra “L’Ordine Nuovo” il giornale del “biennio rosso”, la fucina giornalistica della occupazione delle fabbriche. Sarò anche influenzato dalla lunga consuetudine avuta con Alfonso Leonetti che a più di ottant’anni mi parlava ancora con entusiasmo del periodo trascorso con Gramsci quale redattore capo de “L’Ordine Nuovo”. E tuttavia a me sembra uno sfregio alla memoria gramsciana l’insegna luminosa di un Grand Hotel Gramsci pluristellato con area fitness, piscina, suites lussuose. Riferisce “Repubblica” che l’impresa la quale sta ristrutturando il vastissimo palazzo (10mila metri quadrati) nato come Albergo “di virtù per il ricovero e l’istruzione dei poveri” preserverà restaurandoli i locali dove ebbe sede la mitica redazione ordinovista, e per questo va elogiata, come per lo spazio riservato alla biblioteca dell’Istituto Gramsci del Piemonte e alla sala convegni. Pare tuttavia che gli stessi vertici della catena spagnola NH Hoteles avessero manifestato serie perplessità sul nome Gramsci così legato ad una tragedia personale, famigliare e politica sanguinante. Poi si sono convinti che fosse comunque un nome di richiamo turistico internazionale. Vorremmo far risorgere in loro - sulla scorta anche di un appello indignato sottoscritto da numerosi intellettuali dopo le prime obiezioni dello storico Nicola Tranfaglia - i fondati dubbi originari. Antonio Gramsci è stato uno dei primi antifascisti arrestati e condotti davanti al Tribunale Speciale mussoliniano. Al processo venne condannato a vent’anni di galera, col pubblico accusatore Michele Isgrò che, ben interpretando il pensiero del duce, affermò: “Per vent’anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare”. Scontò fra carcere e ospedali (guardato a vista) un decennio senza mai rassegnarsi a non pensare, a non predicare fra i compagni - come ben scrisse  Giuseppe Fiori nella prima completa biografia gramsciana - il dialogo coi socialisti, per esempio con Sandro Pertini recluso anch’egli a Turi. Mentre la linea staliniana della “svolta” aveva imposto nel 1930 la disastrosa teoria del socialfascismo facilitando la vittoria di Hitler in Germania e portando all’espulsione di numerosi compagni, fra i quali Leonetti, Tresso, Ravazzoli, Camilla Ravera, Silone, lo stesso Terracini. Per quella sua posizione dialogante, subito definita “socialdemocratica”, il pur infermo Gramsci subì intimidazioni e aggressioni. Che c’entra questa vicenda terribile, di lacrime, dolore e sangue, con un Grand Hotel? Nulla, davvero nulla. L’accostamento è offensivo quanto un Grand Hotel Matteotti, Gobetti, o fratelli Rosselli. La memoria storica non va offesa. Tanto più per ragioni turistico-commerciali.



 






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